L’Europa e il diritto privato

febbraio 28, 2017
Questo post è tratto dalla Postfazione di “Diritto Privato. Una conversazione” - Il Mulino
Pietro Rescigno, Giorgio Resta, Andrea Zoppini



Il diritto privato è un comando che viene dall’ordinamento e storicamente dallo Stato. La positività del diritto, il suo essere un comando effettivo dell’ordinamento, incide su un duplice piano: sulla notazione del potere, poi sul criterio di ripartizione tra l’imperio pubblico e i rapporti consegnati alla autodeterminazione dei privati.

Quanto al primo punto, un buon paradigma conoscitivo è costituito dal confronto tra quanti sostengono che il potere è un elemento costitutivo e ontologicamente dato, è il volto del potere incarnato dallo Stato che si rigenera e manifesta sempre uguale a se stesso. E qui un buon esempio è costituito dalla lettura di Impero di Toni Negri, intellettuale controverso con il quale Pietro Rescigno non si è sottratto al confronto e ha mantenuto, sia pure a distanza e naturalmente da posizioni critiche, un dialogo.

Di questo fenomeno offrirebbero un esempio le grandi imprese multinazionali, che esercitano un potere effettivo che prescinde dalle regole degli Stati nazionali ed è in grado d’imporre, a soggetti pubblici e privati, le proprie regole e le proprie condizioni economiche.

In alternativa, si pensi al Michel Foucault della Biopolitica, per il quale lo Stato nazionale ha rappresentato un accidente storico della manifestazione del potere, rispetto al quale altre possibili manifestazioni e modelli di ripartizione della sovranità sono possibili. Basti pensare a chi ravvisa, proprio usando la lezione foucaultiana, nelle azioni di gruppo, ad iniziare dalla class action, nuove forme di soggettività collettiva – per quanto temporanee e occasionali – e di redistribuzione del potere.

Per usare la formula di Salvatore Pugliatti, i momenti di crisi impongono di verificare nuovamente le premesse del discorso del giurista, a iniziare dalla linea di displuvio tra diritto pubblico e diritto privato, tra a sfera delle regole che attiene all’organizzazione della mano pubblica e quelle della sfera dei rapporti tra privati. Questo giustifica che si rifletta sulla ripartizione tra Stato e società civile.

Il diritto privato di formazione comunitaria vuoi per la sua matrice ordoliberale, vuoi per il suo carattere intrinsecamente funzionale ci ha abituato a ragionare in maniera diversa: a vedere elementi nella dimensione pubblica anche nelle organizzazioni private e ad applicare regole del mercato alle pubbliche amministrazioni.

La scuola di Friburgo ha radicalmente ripensato l’idea che è alla base dei codici ottocenteschi della società civile, in quanto distinta e separata dallo Stato, e la ha sostituita con la Privatrechtsgesellschaft di Franz Böhm. Ha sorretto teoricamente l’idea che anche al diritto privato possa assegnarsi una funzione regolatoria, come ben dimostra – e il tema lo si riprenderà più avanti – l’esecuzione del comando pubblico attraverso l’attivismo giudiziale dei privati (indicato dalla formula, ormai invalsa nell’uso, del private enforcement).

(…)

Quello che viviamo è, indubbiamente, una trasformazione profonda delle fonti e della produzione di regole. Molto dipende dall’appartenenza dell’ordinamento italiano all’Unione europea, che genera regole che hanno un rilievo sistematico ed economico assorbente. Basti pensare che – come si legge nel libro celebrativo del bicentenario del Code civil – l’80 per cento del diritto dei singoli Stati europei è di provenienza unionista.

La stessa genesi delle regole dalle corti europee ridefinisce l’interazione tra i formanti dell’ordinamento domestico, tra la legge espressione della legittimazione democratica e il giudice chiamata a darvi attuazione. In ciò consiste l’essere «la Comunità […] un ordinamento giuridico di nuovo genere» come scritto, più di cinquant’anni fa, nella decisione van Gend&Loos, una pietra militare nella formazione giurisprudenziale del diritto europeo che si deve a un giudice italiano, autorevole civilista dell’Università padovana, Alberto Trabucchi.

 Le corti di Lussemburgo e Strasburgo – nell’esercitare una funzione nomogenetica – fanno assomigliare i sistemi continentali, tradizionalmente fondati sulla codificazione del diritto privato, a ordinamenti di common law, nel quale le regole e i principi derivano dalla decisione di singoli casi: il che necessariamente impone un diverso metodo nel “leggere” e comprendere la giurisprudenza comunitaria.