Le parole chiave del diritto privato: pluralismo

marzo 29, 2017
Questo post è tratto da “Diritto Privato. Una conversazione” - Il Mulino
Pietro Rescigno, Giorgio Resta, Andrea Zoppini.


Credo sia opportuno partire dalla differenza tra le due principali accezioni di pluralismo politico-sociale. Esse sono da una parte quella di matrice cattolica e dall’altra quella di origine americana. A differenza della prima accezione, che guarda alle società intermedie, l’idea del crogiuolo, del melting pot, che ha contraddistinto un certo stadio evolutivo della società nordamericana, non ha avuto per lungo tempo molti riscontri nella storia italiana.

La visione pluralista delle origini era quella che aveva suscitato l’ammirazione e l’entusiasmo di Tocqueville: che spiegava agli europei come in definitiva ciò che caratterizzava e contrassegnava quella civiltà e il modo di intendere i rapporti sociali era la mancanza di pretese indirizzate ad autorità esterne, per sollecitarne iniziative da assumere e da promuovere.

L’accezione americana di pluralismo era quindi basata sulla pluralità delle associazioni e dei gruppi, che tuttavia non erano tradizionalmente oppressi dallo Stato, ma semmai ne avevano storicamente costituito la linfa vitale. Lo Stato qui fungeva al più da mediatore. Questo modello di pluralismo – o, come spesso si sente dire, di democrazia pluralista – da noi era ignoto nella realtà, prima ancora che in letteratura. A noi mancava una tradizione pluralista, per essere il nostro un paese monolitico dal punto di vista del costume, del credo religioso, delle abitudini sociali.

La differenza tra la dottrina del pluralismo e la dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici merita di essere rimarcata. Quest’ultima finì col servire, nell’età in cui fu formulata, a una riaffermazione della positività e statualità del diritto, oppure fu piegata a svolgimenti eleganti – il gioco, le regole cavalleresche – ma di rilievo socialmente marginale. Il sempre più frequente contatto con stranieri ci pone oggi, viceversa, problemi vivi e concreti, i quali interessano soprattutto il diritto privato, e aree appartenenti al «privato» nel senso più intenso e profondo, come appunto quelle del matrimonio e della famiglia.

Alla difficoltà di ricostruzione delle fonti, alle asperità di un rapporto tra religione e diritto, si aggiunge l’urto con istituti radicalmente incompatibili rispetto a idee e valori della tradizione nostrana, di fronte ai quali si rinnova l’appello alla clausola di sbarramento dell’ordine pubblico. Poligamia, ripudio, figure come la Kafalà simili alla nostra adozione eppure a essa per molti versi irriducibili, si propongono come occasione e insieme ostacolo insormontabile del confronto, inducendo a proclamare l’irrealizzabilità della società pluralistica.

Occorre tuttavia ricordare che pluralismo è anche rivisitazione degli istituti nell’ambito dell’ordinamento interno, capacità di vedere al di là di concezioni radicate nel costume e nella mentalità comune, certamente rispettabili ma via via messe alla prova da nuove ideologie e sensibilità. Per altro verso, se prestiamo maggiore attenzione alle realtà esotiche ci accorgiamo che anche altrove si manifesta il mutamento, e istituti che appaiono specialmente estranei, se non addirittura repellenti, alla nostra cultura o alla nostra nozione di famiglia conoscono a propria volta trasformazioni e revisioni. Questi istituti, certo obbedienti alla loro logica d’origine, si mostrano – man mano che l’immissione in un contesto differente se ne fa meno occasionale – meno eversivi e dirompenti di quanto a prima vista si è portati a pensare. Un puro e semplice atteggiamento di rifiuto rischia di risultare ipocrita, ed è certo figlio di una inesatta, troppo sommaria valutazione di questi fatti.